testo tratto da : Laboratori di possibilita' - appunti per un progetto di arte relazionale di Gentili | Pettinari - Roots Routes
Laboratori di possibilita': cosi' Rosaria Del Balzo Ruiti, presidentessa del Comitato Maceratese della CRI, ci propose di chiamare la prima fase del progetto Passaggi. Avevamo pensato a questi laboratori come un possibile punto di partenza per intraprendere nuovi percorsi, un’occasione per generare diversita' e per aprirsi raccontandosi agli altri. In fondo, come ogni progetto, il nostro aveva gia' lo sguardo in avanti e nelle radici del suo presente custodiva i germi di inedite possibilità. Ogni laboratorio si sarebbe svolto nella stessa grande sala di una della residenza, generalmente impiegate per i corsi di lingua italiana, e avrebbe coinvolto un piccolo numero di ragazzi. La loro adesione fu spontanea e alcuni di loro parteciparono ripetutamente alle nostre proposte. Iniziammo a ottobre con i primi appuntamenti. In noi un coacervo di smanie e di timori. C’era la voglia di aprirsi all’altro, di raccontare e di impegnarsi personalmente in qualcosa che avrebbe potuto essere una piccola ma sentita risposta a quanto stava succedendo nello scenario politico, una risposta collettiva ma assolutamente personale a provvedimenti attuati in nostra rappresentanza ma che non sentivamo nostri. Allo stesso tempo avevamo paura di essere incompresi. Temevamo di acuire le distanze praticando una lingua incomprensibile. Un idioma che non era ne' l’arabo ne' l’italiano, ne' una qualsiasi altra lingua africana. Era la lingua dell’occidente, della sua cultura e delle nostre idee sull’arte. Come mondi così distanti potevano incontrarsi? Come potersi capire quando si cercava di definire cos’è l’arte, di determinare il suo valore o quando ci si confrontava sui molteplici modi di fruire un’opera? Eppure ogni nodo si sbroglio' facilmente quando ci trovammo tutti intorno ai grandi tavoli da lavoro. Ascoltando, domandando, mettendoci l’un l’altro in discussione: ancora una volta il dialogo e la vicinanza avevano annientato ogni timore.
I laboratori di possibilita' partirono con quello condotto da Alisia Cruciani, un’artista che da anni focalizza la sua attenzione intorno al valore dell’oggetto come dispositivo di memoria. L’idea alla base del laboratorio e' stata quella di riflettere su quanto una cosa in nostro possesso parli di noi e della nostra vita. La condizione umana del migrante ha di certo imposto la necessita' di lasciare nel proprio paese di origine gran parte degli oggetti posseduti: ognuno, prima di partire, ha dovuto compiere la scelta su cosa portare con se', mosso da umana affezione o da principi di semplice utilita'. Attraverso il tradizionale genere della natura morta si è cercato di costruire un’immagine fotografica che parlasse di questa particolare condizione umana, di partenze e di ricordi, di vite interrotte bruscamente e di percorsi che continuano altrove, lontano da dove tutto era cominciato. Un tema, quello della natura morta, che e' stato discusso e analizzato proprio a partire dall’osservazione di celebri esempi della storia dell’arte occidentale. Esempi che nonostante la loro distanza culturale, geografica e temporale, da chi li osserva, si sono rivelati inaspettatamente vicini. Dietro la scelta su quali oggetti immortalare nel suo still life, l’artista ha voluto raccontare delle storie, descrivere condizioni o riflessioni individuali, dichiarando sempre, inevitabilmente, la propria e la nostra inconfondibile umanita'. A condurre il secondo laboratorio e' stata Chiara Valentini, una scultrice particolarmente legata alla lavorazione delle fibre tessili e che in molte opere ha fatto del cucire la sua pratica espressiva prediletta. Per Passaggi, Valentini ha proposto ai partecipanti una riflessione simbolica sulla “terra”, intesa come idea, materia e luogo universalmente condiviso: elemento che dal nord al sud del pianeta, senza distinzioni, da' nutrimento, lavoro e vita alle persone. Tutti viviamo grazie ai suoi frutti e tutti poggiamo i nostri piedi sullo stesso suolo. Partendo dalla condizione lavorativa dei ragazzi ospitati dalla CRI, Valentini ha scelto di lavorare sulla figura dello spaventapasseri: un fantoccio dalle sembianze umane impiegato in tutto il mondo per generare paura e proteggere il raccolto, un’arma di difesa per la propria terra da una minaccia esterna. Nei diversi incontri ciascuno dei partecipanti ha cosi' realizzato uno spaventapasseri a propria immagine e somiglianza che in mostra verra' impiegato in un’installazione corale e interattiva. Solo attraverso la prossimita' con il visitatore questi fantocci riveleranno la propria umanita' e smetteranno di farci cosi' paura. Sempre da una riflessione sull’attuale condizione lavorativa dei richiedenti asilo ospitati dalla CRI si e' mosso Alessio Santoni, artista interessato a pratiche relazionali incentrate su tematiche quali i rapporti di comunia', la memoria dei luoghi e l’analisi antropologica del lavoro. All’origine del percorso, egli ha avviato un confronto collettivo basato sulla discussione di dicotomie quali quelle di natura-cultura e citta'-campagna. Tali tematiche, centrali al percorso laboratoriale proposto dall’artista, sono volte alla riflessione sui principi alla base del nostro sistema di accoglienza e sul valore del lavoro come necessario mezzo di sussistenza e emancipazione. Negli incontri i ragazzi hanno prodotto gli strumenti necessari per ricostruire, attraverso una performance collettiva nello spazio urbano, la quotidiana attivita' lavorativa nei campi, al fine di rivelare i compromessi e i pregiudizi che si nascondono nelle nostre posizioni, nelle convinzioni della nostra abbiente e informata civilta' occidentale. A chiudere questa prima fase del progetto e' stato il laboratorio ideato e condotto dall’illustratore e street artist Nicola Alessandrini. Egli ha chiesto ai ragazzi di condividere di volta in volta ricordi, suggestioni e aneddoti rispetto a particolari esperienze e momenti di vita: la casa e l’infanzia, la partenza e il viaggio, l’arrivo in Italia e il presente. Così facendo, attraverso il segno grafico, grandi fogli bianchi si sono pian piano riempiti di parole e immagini, pensieri e flussi di coscienza. I segni apposti pian piano, stratificandosi, si sono intrecciati, sovrapposti, confusi, colmando sempre piu' il vuoto bianchissimo del foglio alle pareti. Volti di madri, barche sul mare, nomi di citta' e di amici incontrati nel percorso, il profilo della loro casa a Macerata: tutto